Di solito quando torno da un viaggio sono carica a molla.
A dispetto delle sveglie all’alba, dei chilometri macinati e del fuso.
Viaggiare per me è linfa vitale, una boccata di ossigeno rigenerante che mi da una spinta incredibile, un’iniezione di ottimismo e fiducia nel futuro e soprattutto nel mondo che c’è là fuori.
Con New York questa volta è stato un po’ diverso.
Non che non mi sia piaciuta, ma mi ha spiazzato: sia in positivo che in negativo.
Prendete quindi questo post per quello che è: pensieri a ruota libera, impressioni a caldo su cose viste e sentite, scritte di getto, prima che le sensazioni vissute inizino a sedimentarsi nella memoria, avvolgendo i ricordi nell’aura romantica della nostalgia.
Cose un po’ così così di New York
Caldo appiccicoso, aria condizionata a palla e ghiaccio ovunque
Prima di partire già mi immaginavo ad ammirare il foliage di Central Park, prendere il traghetto verso la statua della libertà avvolta in una calda sciarpina, camminare per le strade di NY con in mano una tazza bollente di coffee-to-go.
In realtà niente di tutto questo, ma un caldo umido appiccicosissimo che neanche a Tokyo in agosto: aiuto!
La cosa ancora più terribile era poi l’effetto bagno turco appena si metteva piede in metropolitana, con un’umidità al 2000% e come da migliore tradizione urbana aria condizionata a palla nelle carrozze della metro, nei negozi, nei ristoranti e nei musei, con sbalzi termici assurdi.
Sicuramente siamo stati sfortunati noi, ma questo ha inciso un pochino sulla percezione del viaggio e della città.
Vogliamo poi parlare della fissazione tutta americana per il ghiaccio? No comment direi.
New York è una città sporca
Diciamocelo: New York non è propriamente una città pulita.
Sacchi dell’immondizia per strada, non solo scoiattoli a Central Park ma anche qualche topolino, odori abbastanza nauseanti in prossimità dei (pochi) cestini.
Il fatto che sia una metropoli gigantesca, dove vivono milioni di persone e transita una quantità enorme di turisti, rende questo giustificabile? A mio parere NI.
Basti pensare a Tokyo, che addirittura ha più abitanti di New York: è vero che lì ci sono i giapponesi, che sicuramente rendono le cose più facili, ma un po’ di sforzo in più non guasterebbe.
Un esempio su tutti? La raccolta differenziata…
Tanti, troppi homeless
Una delle contraddizioni più evidenti della Grande Mela.
Giovani e meno giovani, bianchi e neri, donne e uomini: una condizione trasversale alle categorie sociali.
Ma quando l’essere homeless è una scelta (reale?) di vita e quando invece deriva dall’incapacità di una società che trasuda opulenza di favorire inclusione anziché emarginazione?
Dove va a finire in questi casi il diritto alla vita (dignitosa), alla libertà e a perseguire la felicità, baluardo del sogno americano?
Tra tutti gli homeless che ho visto mi ha colpito il cartello di un ragazzo davvero giovane, gli occhi gentili abbassati sul marciapiede, stretto nelle spalle come se fosse costretto a portare un peso invisibile.
Il cartello diceva: “Even a smile can make the difference“. Ci ripenso ancora adesso a distanza di giorni.
Il Columbus Day
Ovvero “una cagata pazzesca” come direbbe Fantozzi.
Assistere alla parata del Columbus Day non era in programma, ma visto che il meteo non ci ha assistito abbiamo dovuto rimescolare un po’le cose e siamo capitati sulla Fifth proprio intorno a mezzogiorno.
E’ vero che io non sono una grande fan nemmeno del Carnevale e forse sono un po’ prevenuta, ma vi giuro che i carretti con il tricolore e la gente sopra che cantava Funiculí Funiculá non si potevano proprio vedere.
Il festival dei luoghi comuni: pasta, pizza e mandolino.
Per non dire cosa altro si intuiva dai completi gessati e dai cappelli da gangster. Olé, avanti così.
Harlem e il divieto di scattare fotografie
Premessa: noi abbiamo alloggiato nei Queens, proprio davanti a Roosevelt Island.
Una zona multiculturale che è stata recuperata negli ultimi anni e pur tornando in hotel la sera tardi non ci siamo mai sentiti a disagio o avvertito situazioni di pericolo.
Harlem, pieno giorno, nella piazza con il monumento di Adam Clayton Powell.
Veniamo avvicinati da una donna della sicurezza, ci dice che non possiamo fare le foto dentro alla piazza: da fuori sì, ma dentro no.
Un po’ perplessi ci allontaniamo verso il lato sud dove svettano due murales: intanto che io scatto qualche foto, M. viene avvicinato con fare aggressivo da un uomo di colore che gli chiede se quella donna là (ovvero io) è con lui.
M. tergiversa ma a questo punto il tizio diventa minaccioso, intimandogli di mettere via quella nostra fucking camera e di andarcene.
In quel momento eravamo gli unici bianchi e abbiamo percepito diversi sguardi ostili: non so se sia stato un caso o meno, ma di certo la cosa ci ha colpito parecchio.
Cose belle di New York
Arrivati a questo punto forse penserete che New York non mi sia piaciuta, ma in realtà non è così.
New York è bella, bellissima, ma soprattutto sa di esserlo.
E’ intrigante, seducente, si muove a ritmo di musica, ti avvolge nelle sue luci: resisterle è impossibile.
Una foresta di grattacieli
A New York si cammina guardando in alto.
Gli occhi calamitati verso la punta grattacieli, in un senso di vertigine al contrario: è una gara tra giganti, vinta – per ora – dalla Freedom Tower in altezza, ma dal Chrysler Building in eleganza.
E se salire sulla terrazza del Top of the Rock al tramonto è magia, è dall’alto dell’Empire State Bulding che sembra di poter toccare qualunque punto della città con un dito. Da brividi.
L’energia di Times Square
Il cuore pulsante di New York.
Tutto qui è esagerato: le luci abbaglianti, i colori fotonici, il rumore del traffico, la quantità di persone.
Eppure anziché frastornare Times Square trasmette un’energia pazzesca: te la senti addosso, capisci di farne parte anche tu.
E’ una sensazione impossibile da descrivere, bisogna viverla.
Central Park è esattamente come lo si vede nei film
Avete presente quando nel film Enchanted – Come d’incanto Giselle viene portata da Robert-alias-quel-figo-pazzesco-di-Patrick-Dempsey a fare una passeggiata dentro Central Park e incontrano pittori, ballerini, musicisti, nonché le onnipresenti coppie di sposi?
Ecco Central Park è esattamente così!
E poi ovviamente i laghetti punteggiati dalle barche a remi, i ponticelli romantici, il viale alberato che conduce alla Bethesda Terrace, la celebre fontana dell’Angel of the waters: come d’incanto, appunto.
Il cielo in una stanza
La stanza in questione è la Rose Main Reading Room della New York Public Library.
Sul suo soffitto è infatti dipinto un bellissimo cielo azzurro con ai lati soffici nuvole che riflettono la calda luce rosata del tramonto: meravigliosa cornice ai preziosi volumi ordinati sugli scaffali antichi, alle scrivanie con le lampade di ottone e agli eleganti lampadari.
Un colpo d’occhio che lascia a bocca aperta, ma forse anche qualcosa di più.
Perché alla fine se ci pensate il potere dei libri è proprio quello di farci evadere dal “qui e ora” per farci vivere mille altre vite in mille altri luoghi.
Sotto altri cieli azzurri.
Brooklyn, il mio posto a New York
Me lo sono imposto: non voltarti fino a che non superi la prima arcata del Brooklyn Bridge.
Non è stato facile resistere lo ammetto, ma quando mi sono girata…un colpo al cuore!
Il cielo azzurro, la luce calda del pomeriggio, il vento tra i capelli: il senso di questo viaggio racchiuso in quel preciso istante.
Se in un’altra vita dovessi mai prender casa a New York non avrei dubbi, sarebbe qui, a Brooklyn, e tutte le sere andrei a caccia di tramonti tra la Brooklyn Heights Promenade e il Brooklyn Bridge Park, ammirando Manhattan rivestirsi di luce.
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